Descrizione sintetica dei contenuti dell’incontro
La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, com’ebbe modo di evidenziare Heidegger nel secolo scorso e come ha colto in modo assai efficace Luigi Pirandello quando scrive: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati». L’antropologia sociologica francese, sin dagli inizi del Novecento, ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione; i momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di una esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura.
In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine, di un “limite” che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. Un confine, per definizione, pur essendo un costrutto prettamente culturale, contribuisce a codificare e rafforzare l’identità delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte in quanto confine può contribuire a definire l’identità di ciascuno di noi, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà” o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtà”. Un racconto simbolico, intimo e paradossalmente corale, che oggi siamo abituati a sperimentare nella forma del necrologio televisivo e/o nella partecipazione a un funerale. La morte è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua.
Chi si confronta col passato deve necessariamente varcare questo confine, delineandone i tratti per tramite di ciò che ne sopravvive.
La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a confronto – traendo spunto da una più ampia riflessione retrospettiva recentemente confluita nel volume Archeologia e Antropologia della Morte: Storia di un’Idea. La semiologia e l’ideologia funeraria delle società di livello protostorico nella riflessione teorica tra antropologia e archeologia, Bari, Edipuglia, 2015 – affronterà queste complesse problematiche, offrendo al pubblico e agli specialisti un quadro di insieme sui più fruttuosi approcci teoretici e sulle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera, per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla, con un focus incentrato sulle società di livello protostorico estinte o persistenti ma con uno sguardo rivolto anche alla contemporaneità, come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.
Alla profondità temporale dell’archeologia e alla sua consuetudine epistemologica con la concretezza materiale della nostra essenza e dei nostri gesti corrisponderà, quasi inevitabilmente, la capacità di sintesi e relativizzazione propria dell’antropologia culturale, in grado di penetrare i complessi meccanismi dell’astrazione rituale e semiotica propria dell’agire umano, mettendo in luce la stratigrafia emozionale e le contraddizioni consce e inconsce del nostro sentire e del nostro agire e del modo in cui tentiamo – per quanto possibile razionalmente – di comprenderli e decrittarli.
Tra le tematiche sulle quali si confronteranno in un dialogo interdisciplinare (archeologico, antropologico, bioarcheologico, archeotanatologico, semiotico, filosofico) i maggiori specialisti internazionali spiccano quelle legate alla ricostruzione del paesaggio e della performance rituale, all’interpretazione della prassi funeraria nei suoi esiti formali e in quelli devianti – nei duplici e spesso avvincenti risvolti della necrofilia e della necrofobia –, all’analisi e alla ricostruzione delle problematiche concernenti la percezione della morte nei suoi risvolti materiali e simbolici e nelle sue astrazioni rituali (discutendo di temi e categorie come la tanatoprassi, la tanatosemiotica, l’antropopoiesi, la materialità/corporeità, individualità/dividualità, material engagement, enchainment ecc. ecc.), alle questioni concernenti le potenzialità e i limiti della ricostruzione storica e sociologica attraverso l’indagine delle pratiche e dell’ideologia funeraria e, più in generale, alla discussione del problema di fondo di cosa sia o non sia e di cosa significhi o non significhi (in una accezione propriamente semiotica) una sepoltura.
Per tali ragioni gli esiti del convegno forniranno una delle sintesi più ambiziose e aggiornate su uno degli aspetti più controversi e complessi del dibattito storico sulle società del passato e, al contempo, un importante e per molti versi inedito momento di riflessione su una delle fasi paradossalmente più significative dell’esistenza, al limite dell’essere, quando il sé raggiunge finalmente il suo compimento nel momento stesso in cui non è più.
Il confronto e la discussione on-line
Portando avanti lo spirito e la volontà di sperimentare che ha contraddistinto le prime due edizione della serie di convegni di Antropologia e Archeologia a Confronto, anche in questa occasione si è voluta offrire l’opportunità di partecipare ai lavori congressuali e alle relative discussioni a un pubblico di specialisti e non solo più ampio di quello che era possibile includere nella tre giorni di programma. A tal fine, sin dal principio di maggio e ancora per qualche giorno, si sono create varie sessioni di discussione, ospitate sul profilo Academia.edu del curatore, attraverso le quali è possibile commentare il contenuto delle singole comunicazioni o le tematiche dei contributi accolti come poster-on-line. Allo stesso modo, attraverso i link presenti direttamente sul programma, è possibile discutere anche le più ampie tematiche delle 5 sessioni in cui si articola il convegno, offrendo spunti che, se pertinenti, confluiranno integralmente negli atti a stampa dell’incontro, editi entro il maggio dell’anno venturo grazie al concorso della Fondazione Dià Cultura e della casa editrice Editorial Service System.
Il progetto si inserisce in una più vasta manifestazione (info e programma www.romarche.it ), Romarché, giunta nel 2015 alla sua VI edizione. Tra gli scopi dell’iniziativa vi sono da sempre stati la valorizzazione del nostro patrimonio culturale (fin dalla scelta delle sedi ospitanti, solitamente coincidenti con Musei o Monumenti, quest’anno i resti dello Stadio di Domiziano a Piazza Navona, dove sarà ospitata fino al 24 maggio), la promozione dell’editoria archeologica e l’incentivo al confronto interdisciplinare, su molteplici temi, archeologici, antropologici, storico-artistici e museologici.
Sintesi dei principali approcci teorici e nuclei tematici previsti per le 5 sessioni in cui si articola il convegno
1) La regola dell’eccezione: la morte atipica, il defunto atipico, il rito atipico
- a) La morte come frontiera: lo statuto ideologico e culturale del confine tra norma e infrazione, tra umano e disumano, tra sepoltura e non sepoltura
- b) La “morte atipica”: «the Archaeology of War, Disaster, Violence, Crime and Disease»
- c) Il “defunto atipico”: mostruosità, pena ed emarginazione sociale
- d) Il “rito atipico”: la «Burial Archaeology of Fear and Magic», dalla necrofobia alla necrofilia
2) The social life cycle of bodies and things: ricomporre e ripensare la realtà rituale e quella sociale tra material engagement, enchainment e actor network theory
- a) Il corpo come oggetto e la materialità come persona: la dialettica concettuale e rituale tra oggettificazione e personificazione
- b) The social life cycle of bodies and things: la configurazione del rapporto (in termini di «network», «enchainment» o «entanglement») tra “uomini” e “cose” nella sfera sociale e nella sua proiezione funeraria
- c) Dividualità e individualità: prospettive interpretative e attestazioni materiali dei processi di frammentazione rituale in ambito funerario
- d) Le necropoli come networks e come luogo di produzione del sociale
3) La poetica delle emozioni: performance e paesaggio rituale
- a) Percezione e significato della dimensione emozionale del rito
- b) Definizione, limiti e significato del paesaggio rituale
- c) L’archeologia della “performance” rituale
- d) «Constructing deathscapes»: costruzione e ricostruzione del “paesaggio rituale” funerario
- e) Il dialogo tra i vivi e i morti oltre la sepoltura: offerte, libagioni, culto dei morti e frammentazione rituale
4) La costruzione dell[e]’identità oltre la morte: tra tanato-metamòrfosi e antropo-pòiesi
- a) La costruzione dell’identità durante e oltre la morte
- b) Luoghi e corpi: “scomparire, rimanere, riemergere”
- c) Le strategie del «controllo culturale della putrefazione» tra archeologia e antropologia
- d) Oltre la putrefazione: interventi intenzionali sul corpo oltre la morte
5) Tavola rotonda: la dimensione sociale delle pratiche funerarie[?]
Nel novembre del 1966, in un simposio organizzato a Pittsburgh, la componente più vitale di quelli che da poco avevano cominciato a denominarsi New Archaeologists si incontrò per discutere il tema complesso e ambizioso della «Social Dimensions of Mortuary Practices» e definire una strategia condivisa per la sua commisurazione, secondo quella che era la prassi ipotetico-deduttiva all’epoca adottata da quanti ambivano a perseguire un approccio di tipo processuale in campo archeologico.
A poco meno di mezzo secolo di distanza da quella importante occasione di discussione è sembrato opportuno tornare a riflettere e confrontarsi per verificare costruttivamente (e senza schematismi preconcetti) quanto sia oggi sopravvissuto dei paradigmi interpretativi, delle applicazioni metodologiche e delle velleità euristiche del positivismo di ascendenza processuale sulle tematiche connesse all’interpretazione sociologica delle pratiche funebri.
Con tali obiettivi la discussione, oltre a riconsiderare quanto emerso dalle precedenti sessioni, si confronterà col tema più ampio della dialettica tra isomorfismo e distorsione ideologica nella proiezione funeraria della dimensione sociale di un singolo individuo e/o della sua collettività di appartenenza.
Il dibattito verterà in particolare sull’efficacia o i limiti delle varie strategie euristiche (paleodemografia, analisi della composizione dei corredi, valutazione dell’indice di rarità, determinazione della variabilità funeraria, approccio insiemistico-combinatorio, determinazione della complessità funeraria, ecc. ecc.) messe volta per volta in atto nell’indagine sociologica e, conseguentemente, anche storica e antropologica sulle necropoli.