4 Ottobre 2024

Minerva Medica. Un santuario romano a Montegibbio in mostra a Sassuolo

Minerva medica. Un santuario a MontegibbioSi chiuderà a Sassuolo (Modena), il prossimo 18 ottobre 2015, la mostra dal titolo “Minerva Medica. Un santuario romano a Montegibbio“. La mostra illustra gli scavi archeologici che a Montegibbio, nel Modenese, hanno portato in luce un santuario dedicato a Minerva frequentato dal II sec. a.C. al II secolo d.C. e legato al fenomeno naturale delle “salse”.

La mostra sarà aperta al pubblico nella giornata di sabato 17 ottobre con orario 15.30 – 19 e domenica 18 ottobre dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle 19. L’ingresso è libero ed è possibile ritirare gratuitamente il giornale di mostra. Una copia del giornale di mostra sarà inoltre distribuita gratuitamente ad ogni acquisto su AI eshop a partire da mercoledì 21 ottobre (fino ad esaurimento scorte).

Si potrà approfittare dell’occasione per visitare le splendide sale affrescate del Palazzo Ducale di Sassuolo, aperto nelle giornate di sabato e domenica del mese di ottobre.

Presentazione della mostra
Testo a cura di Carla Conti. Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna

Una distesa di coni, crateri e vulcani in miniatura, un placido ribollire di fango che, colando, si solidifica in un grande manto grinzoso, immagine allarmante di un fenomeno nel complesso innocuo.

È lecito supporre che la vista delle “Salse” abbia suscitato timore da tempo immemorabile. Ma l’effetto benefico di argilla, fanghi, bitume, acqua salmastra e gas deve aver presto prevalso sulla visione apocalittica, legando questo evento naturale ai culti religiosi connessi alle acque salutari e al mondo sotterraneo, primo fra tutti quello incentrato sulla dea Minerva.

Gli scavi archeologici condotti a partire dal 2006 a Montegibbio, sulle prime colline di Sassuolo, nel Modenese, hanno portato in luce un santuario dedicato a Minerva in prossimità dell’omonima salsa, il maggiore vulcano di fango d’Italia, quiescente da quasi due secoli.

La mostra “Minerva Medica”, curata da Francesca Guandalini e Donato Labate e allestita alla Galleria Paggeriarte di Sassuolo, illustra questi scavi, descrivendo il culto della dea attraverso i reperti recuperati e proponendo una ricostruzione tridimensionale del santuario definitivamente abbandonato dopo due eventi catastrofici.

In area padana, i Romani concentrano in Minerva le divinità femminili di origine celtica legate alle acque e ai culti di sanatio: oltre a invocarla come dea Sanctissima ed Augusta, i devoti la ricordano come Minerva Memor e Medica.

Memor perché memore delle preghiere dei fedeli, Medica perché li cura con i benefici influssi delle acque, dei fanghi e delle polle di petrolio che le sono consacrati.

A Montegibbio il nome della dea appare inciso sul vasellame deposto dai fedeli, in un caso integralmente come dedica -[Eg]o Miner(vae) sum, “io sono dedicata a Minerva”-, più spesso solo con la M iniziale o la doppia MM di Minerva Medica o Memor. Gli oggetti rinvenuti negli scavi, spesso modesti e di uso comune, testimoniano una frequentazione del sito già nell’età del Rame e in epoca celtica. Il sito si struttura poi come santuario in epoca romana a partire dal II sec. a.C., restando in uso fino agli inizi del II sec. d.C.  Risalgono a questo periodo bicchieri, coppe, brocche e bacili utilizzati per banchetti o abluzioni rituali, numerose monete, lucerne, stili e aghi in osso e bronzo, pesi da telaio e altri oggetti che rimandano a una delle caratteristiche divine di Minerva, quella di protettrice delle arti, tra cui la tessitura e la cucitura di pelli e tessuti.

La presenza dei paleo-vulcani di fango noti come “salse” dà vita in età antica al culto incentrato sulla dea Minerva connesso non solo alle proprietà curative di acque, fanghi e bitume ma anche ad una sorta di pratica oracolare in cui l’attività eruttiva viene vista come un contatto tra il mondo degli umani e quello sotterraneo.

L’eccezionalità del sito di Montegibbio risiede peraltro non solo nel carattere cultuale dell’insediamento ma nella possibilità di leggere una serie di fenomeni catastrofici legati al vulcanesimo di fango.

Il primo santuario costruito dai Romani sulla “salsa di Minerva” in età repubblicana (II sec. a.C.) è infatti distrutto dopo pochi decenni da una catastrofe naturale, forse un terremoto.

Alla metà del I sec. a. C. il tempio viene non solo ripristinato ma ampliato e strutturato in più ambienti. Lo spazio sacro è organizzato in una serie di stanze con pavimenti a cocciopesto con tessere musive (opus signinum) disposte intorno a un cortile interno. La “salsa di Minerva”, prima delimitata da un recinto, viene ora raggiunta tramite una scala, posta a valle del santuario.

I continui dissesti geologi accaduti a Montegibbio non consentono di ricostruire l’intera pianta del santuario: sappiamo però che le pareti erano rivestite da affreschi policromi di pregio realizzati con tecniche sofisticate da maestranze di grande abilità e che al santuario era associata una fornace usata sia per la cottura dei laterizi da costruzione che per produrre vasellame e statuette fittili deposti dai fedeli come offerta votiva.

Agli inizi del II sec. d.C. una seconda  catastrofe naturale distrugge le strutture sacre di Montegibbio e, dopo un periodo di abbandono del sito, nel III sec. d.C. viene costruita una casa colonica dotata di un pozzo che attinge acqua nello stesso punto in cui prima si venerava la “salsa di Minerva”. Anche questo rustico viene distrutto da un altro evento catastrofico nel corso del VI sec. d.C.

Scheda della mostra
Titolo: Minerva Medica. Un santuario romano a Montegibbio
Luogo: Sassuolo (Modena). Piazzale della Rosa
Data: dal 18 settembre 2015 al 18 ottobre 2015
Orario: orari differenziati; apertura al pubblico il sabato e la domenica, nei giorni feriali solo su appuntamento
Costo: ingresso libero
Informazioni: URP Comune di Sassuolo – tel. 0536-1844801 – urp@comune.sassuolo.mo.it
Social: pagina facebook

Immagini dalla mostra
riproduzione vietata

Minerva medica. Un santuario a MontegibbioCiotola con incisione [Eg]o Minerv(ae) sum, “Io sono dedicata a Minerva”
Foto Roberto Macrì (Archivio fotografico Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna)
riproduzione vietata