Dopo una lunga fase di elaborazione, è di recente pubblicazione su sito istituzionale del Ministero la nuova Circolare 01/2016 sull’archeologia preventiva emessa dalla Direzione Generale Archeologia.
Il documento ritorna (avvalendosene e ripercorrendola ampiamente) su una tematica già profondamente sviscerata dalla precedente Circolare 10/2012 emanata dalla allora Direzione Generale Antichità.
La rilevanza notevole del presente provvedimento e la sua stessa ragione ad una distanza temporale apparentemente modesta dalla precedente consiste non solo nei molti aspetti di approfondimento e di correttivo, ma soprattutto nella sopravvenuta necessità di rimarcare un indirizzo procedurale in un quadro di eccezionalità della fase storica della produzione normativa in Italia in materia di Archeologia.
Lo scenario di fondo è infatti assai complesso ed incerto.
Da mesi si attendono da parte del Ministero Beni e Attività Culturali le “Linee Guida” previste dal Decreto Legge 133/2014 Art. 133 Comma 4 (convertito Legge 164/2014) nonché i Regolamenti di attuazione delle Legge 110/2014 in materia di professioni dei Beni Culturali.
Questo proprio mentre due vere e proprie rivoluzioni legislative si preparano.
E’ infatti certamente prossima l’emanazione della nuova normativa in materia di contratti pubblici in attuazione della Legge Delega 11/2016 (mediante un nuovo Decreto Legislativo che si prevede debba essere promulgato entro il prossimo aprile e nel quale a giudicare dai testi non ufficiali che stanno già circolando in questi primi giorni di marzo 2016 il tema della interazione fra archeologia e opere pubbliche potrebbe essere trattato con minime ma insidiose modifiche che porterebbero ad una articolazione procedurale potenzialmente incerta).
Non solo, ma contemporaneamente a distanza di pressappoco un solo anno dalla precedente, una nuova ulteriore riforma del sistema nazionale delle Soprintendenze è stata recentemente annunciata alla stampa ed all’opinione pubblica suscitando immediatamente un dibattito accesissimo.
Tutto ciò mentre si attendono segnali all’orizzonte di una volontà politica per l’adeguamento della normativa italiana alle previsioni della Convenzione Europea de La Valletta (risalente al lontano 1992, ratificata dal Presidente della Repubblica nel 2015 in ottemperanza alla Legge 57/2015, ma per la quale è ormai scaduto inefficacemente il semestre di tempo per recepirne gli aspetti non già presenti nel nostro ordinamento, fra i quali per esempio la regolamentazione normativa dell’uso archeologico di metaldetector e soprattutto l’impostazione territoriale di una tutela archeologica integrata con quella urbanistica, come richiesto dall’Art. 3 e Art. 5 della Convenzione).
Ce n’è abbastanza per spiegare l’importanza di una circolare che nelle more tenga salda la percezione di una procedura di suo non facile.
Di fondo a tutto il presupposto giuridico è l’esistenza da ormai oltre dieci anni di una norma di faticosa applicazione in materia di archeologia preventiva (inizialmente Legge 109/2005 Art. 2ter – 2quater, oggi temporaneamente inserita nel Codice dei Contratti come Art. 95-96 Decreto Legislativo 163/2006), la quale dispone per le opere pubbliche un primo assai precoce livello di valutazione teorica della potenzialità archeologica del luogo dove si sta prevedendo di costruire (attualmente Art.95), quindi una prima fase di verifica sul campo mediante saggi, prospezioni di limitato impatto etc. che accerti la realtà dei giacimenti archeologici (attualmente Art. 96.1.a) ed in fine – se del caso – una seconda fase di verifica sul campo mediante azioni incisive nel sottosuolo e scavo archeologico preventivo allo scopo di scongiurare conflitti fra opera pubblica e patrimonio archeologico sepolto (attualmente Art. 96.1.b).
Notare che proprio questa fondamentale scansione fra una prima ed una seconda fase di verifica sul campo secondo le notizie in questi stessi giorni pubblicamente circolate potrebbe – si direbbe per via di una non felicissima volontà di sintesi – risultare nella prossima formulazione normativa in materia di appalti pubblici testualmente meno nitida e proprio per questo potrebbe rendersi particolarmente preziosa la descrizione procedurale fedele al senso tecnico della Legge 109/2005 come data dalla presente Circolare.
Motivo in più per considerarne l’impegnativa lettura irrimandabile non solo da parte degli archeologi che operano nell’archeologia esecutiva, ma anche dei progettisti edili e degli amministratori locali.
Per richiamare qui di seguito alcuni argomenti che sono sembrati di particolare impatto sulla operatività quotidiana di chi fa archeologia in Italia può essere utile sottolineare quei passaggi che sin da un primo esame sono apparsi particolarmente notevoli, anche se non tutti necessariamente nuovi (del resto si tratta appunto di una circolare e non di un testo di novellazione normativa).
2.6 pag. 6 – Dove le opere pubbliche previste riguardino quote nel sottosuolo già impegnate da precedenti interventi e non fosse ope legis applicabile la procedura di archeologia preventiva ex Art. 95 e 96, tuttavia in ragione di altamente probabili emergenze archeologiche meritevoli di tutela potrebbe essere comunque prescritta da parte della Soprintendenza una assistenza in corso d’opera (per esempio rifacimenti di piazze).
3.1 pag. 8 – Viene previsto il caso in cui la stazione appaltante, la quale ritenesse non applicabile la norma al proprio procedimento, per ottenere un parere per quanto di competenza della Soprintendenza presenti la propria documentazione progettuale in corso di progettazione preliminare dichiarando e motivando la non applicabilità.
In tal caso (3.2) la Soprintendenza esegue a propria cura una istruttoria a riguardo prima di esprimere il parere.
4.1.1 pag.12-13 – Viene affermato che la mancata attivazione del procedimento da parte della stazione appaltante o l’omissione di adempimenti successivi o di prescrizioni si configurano come omissioni suscettibili di pregiudicare in tutto o in parte l’opera pubblica o di interesse pubblico con conseguente responsabilità per danni.
7.1 pag. 15 – In caso di “applicazione per analogia” di queste procedure a procedimenti non giuridicamente vincolati alla norma in materia di opere pubbliche, devono essere istituiti accordi formali sanciti dalla Direzione Generale Archeologia (rimangono senza efficacia precedenti accordi firmati dalla Direzione Generale Centrale), restando inteso che in tali casi non si estendono fuori dal proprio ambito di applicazione naturale le regole tipiche delle opere pubbliche: in particolare non può essere imposto come esclusivo il possesso dei requisiti professionali obbligatori previsti per le opere pubbliche, ma solo la comprovata ed adeguata formazione ed esperienza, nel rispetto della Legge sulle professioni dei Beni Culturali.
8.4 pag. 20 – La documentazione che la Soprintentendenza riceve dalla stazione appaltante relativamente ad un procedimento ex Art. 95 deve essere pubblicata immediatamente in archivio digitale su piattaforma informatica liberamente accessibile.
9.4 pag. 24 – Gli interventi di verifica sul campo oltre ad essere condotti [con onere economico a carico della stazione appaltante o soggetto proponente, cfr. 3.3 pag.9] in esecuzione diretta da parte della Soprintendenza con affidamento ad un funzionario archeologo appartenente ai ruoli del Ministero, possono eventualmente essere affidati in regime di concessone alla stazione appaltante (o soggetto proponente); in entrambi i casi la Soprintendenza può emettere decreti di occupazione temporanea dei terreni, ma in entrambi i casi gli oneri per tale occupazione temporanea sono a carico della stazione appaltante (o soggetto proponente).
9.7 pag. 25 – A seguito di indagini ex Art. 96 comma 1.a [cioè l’attuazione di prospezioni e saggi a campione etc. finalizzati alla approvazione del progetto preliminare ovvero di fattibilità, cfr. Legge 109/2005 Art. 2quater.1.a], ove si riscontri una assenza di “elementi archeologicamente significativi” il Soprintendente se non ritiene motivatamente di disporre ulteriori indagini rilascia il parere finale; in tale caso nel formulare tale parere il Soprintendente può motivatamente prescrivere una sorveglianza archeologica in corso d’opera (per esempio in caso di infrastrutture a rete per le quali i sondaggi non abbiano coperto l’intero tracciato, ovvero quando per via di caratteristiche archeologiche peculiari non sia possibile pianificare una campagna di scavo preventivo).
10.3 pag. 28 – Ai fini della esecuzione della seconda fase delle indagini ex Art. 96 comma 1.b [cioè l’attuazione di scavi archeologici più o meno in estensione, finalizzati alla progettazione definitiva dell’opera, cfr. Legge 109/2005 Art. 2quater.1.b] la Soprintendenza invia alla stazione appaltante (o soggetto proponente) le direttive vincolanti per il progetto definitivo di scavo archeologico. Il progetto, comprendente dettagliate previsioni tecnico scientifiche ed economiche relative alle diverse fasi e tipologie di scavo, deve ottenere la approvazione del Soprintendente.
10.4 pag. 29 – Gli elaborati del progetto di scavo comprendono tra l’altro il quadro economico, il computo metrico, l’organigramma del cantiere ed il cronoprogramma. Comprendono anche la previsione di interventi di conservazione e di valorizzazione dei beni archeologici rinvenuti.
La Soprintendenza verifica i curricula professionali degli archeologi coinvolti.
La documentazione archeologica, rielaborata in formato finale al termine dell’intervento (con onere economico a carico della stazione appaltante), viene denominata “relazione conclusiva dello scavo” [da non confondere con la “relazione archeologica definitiva” che è invece un atto proprio della Soprintendenza, cfr. 12.1 pag. 32]).
La relazione conclusiva dello scavo, la prima schedatura dei reperti mobili, il loro studio preliminare ed i primi interventi esclusivamente conservativi, nonché la pubblicazione dei risultati dell’indagine sono ad onere economico della stazione appaltante per un importo complessivo in linea di massima non inferiore al 20% delle somme stanziate per l’archeologia [notare che in questa voce – raddoppiata rispetto alle precedenti previsioni – non è più compresa la “documentazione”, la quale viene invece espressamente individuata come parte integrante dell’indagine, da eseguirsi contestualmente allo scavo, cfr. All.to 4 pag.4.] .
11.3 pag. 31 – Viene richiamato che lo scavo archeologico è attività da sottoporre a collaudo in corso d’opera.
11.4 pag. 32 – La Soprintendenza può richiedere alla stazione appaltante luoghi per il ricovero dei reperti mobili.
12.1 pag. 32 – La “relazione archeologica definitiva” [da non confondere con la “relazione conclusiva dello scavo” cfr. 10.4 pag.29] è compito del funzionario archeologo della Soprintendenza; essa deve contenere una descrizione analitica delle indagini svolte e dei risultati ottenuti. Essa integra il progetto definitivo e/o esecutivo dell’opera pubblica. Contiene proposte per le prescrizioni di tutela al Soprintendente. Per permetterne la redazione la ditta archeologica deve consegnare gli elaborati necessari entro un tempo da fissarsi tra i trenta ed i centoventi giorni dalla fine dell’intervento. Nondimeno la Soprintendenza si riserva la facoltà di richiedere consegne intermedie già nel corso dei lavori.
12.2 pag. 36 – Viene ribadito che operazioni di messa in sicurezza preventiva (palificazioni, jet grouting etc. etc.) che comportino un sacrificio di deposito archeologico vanno sottoposte ad uno specifico parere motivato del Soprintendente.
12.3 pag. 37 – Entro sei mesi dalla fine delle attività di scavo deve essere sottoposto al Soprintendente il piano editoriale della pubblicazione degli esiti dello scavo archeologico. Deve essere rispettata la normativa vigente in materia di paternità intellettuale.
13.1 pag.40 – Ai fini dell’affidamento le attività di verifica sul campo ex Art. 96 (già Art. 2quater.1.a-b della legge 109/205) rappresentano opere specialistiche di scavo archeologico [sembra cioè doversi intendere che esse vengono finalmente riconosciute come opere e non servizi], nondimeno il soggetto che ha eseguito le indagini relative alla fase preventiva ex Art.95 (già Art. 2ter della legge 109/205), se in possesso dei requisiti di legge, può partecipare alla procedura di affidamento anche dei successivi lavori di scavo.
ALL.TO 4 pag.4 – La documentazione di scavo – da eseguirsi contestualmente allo scavo stesso – e la sua elaborazione vanno considerate come attività integranti dell’indagine archeologica.
Un paio di considerazioni in attesa che pregi e criticità emergano, come è normale, dalla prova dei fatti, tanto più visti i tempi, come si è detto, turbolenti.
Critiche potrebbero essere mosse su più di un aspetto puntuale quale il mancato coraggio nell’affrontare le questioni di conflitto d’interessi commerciale fra ruolo professionale nella valutazione preliminare e ruolo imprenditoriale della attuazione di interventi di verifica; oppure le questioni etico-scientifiche di necessità di una conferma indipendente del dato archeologico che al termine di tutto il processo si intende sottoporre a pubblicazione (siamo sicuri che voler insistere tanto per far partecipare alla pubblicazione scientifica dello scavo archeologico esattamente le stesse persone che quello scavo lo hanno eseguito o diretto sia sotto il profilo epistemologico una buona idea?), ma d’altra parte non si può non ammettere che da una circolare non si può pretendere che essa riesca a risolvere tutto.
Più triste invece osservare che anche questa volta, come già era stato per la precedente Circolare 10/2012 qualcosa è mancato in termini di confronto con le Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative firmatarie di Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Un esempio salta subito agli occhi. La Circolare prevede che ad intervento archeologico esaurito e a documentazione consegnata, dopo la presentazione entro sei mesi dalla conclusione dei lavori archeologici in cantiere di un piano editoriale, alla fin fine la pubblicazione delle risultanze scientifiche avvenga coinvolgendo anche personale della ditta archeologica esecutrice. Ma personale individuato a scelta di chi? Del Datore di Lavoro o della Soprintendenza?
Non è questione da poco, posto che in un mondo ideale il personale archeologico che ha operato su un cantiere pubblico dovrebbe essere stato inquadrato con una posizione contrattuale decentemente regolare (cioè con un contratto coerente con il fatto che il lavoro di scavo archeologico si svolge con mansioni non meramente consulenziali bensì esecutive – seppure di elevato spessore tecnicoscientifico – all’interno di un cantiere di tipo assimilabile a quello edile, quindi in definitiva pur con tutte le possibili sfumature con uno dei vari contratti di lavoro assimilabili alla famiglia dei CCNL Edilizia e Affini). Perciò, posto che in tale scenario è altamente probabile nel tempo una variazione del personale aziendale in relazione a cessazioni contrattuali per fine cantiere, cosa succede se l’archeologo prescelto per essere coinvolto nella pubblicazione svariati mesi dopo la fine del cantiere non è più in quel momento in forza alla ditta archeologica appaltatrice? Ha automaticamente diritto al reintegro anche in via preferenziale rispetto ad altri Lavoratori dopo una riduzione di personale ai sensi della Legge 223/1991 Art. 24 Comma 4? E se sì, per quale modello orario di lavoro, posto che il cantiere è solitamente a tempo pieno, mentre la partecipazione ad una pubblicazione è forse l’impegno più discontinuo che si possa immaginare? La medesima questione era per la verità già embrionalmente emersa ai tempi dei tavoli di confronto per l’elaborazione della vecchia Circolare 10/2012, quando però l’ipotesi che si potesse arrivare concretamente a tale punto nella realtà quotidiana sembrava per motivi amministrativi meno concreta di come essa appare oggi (essendo solo ora fortemente incrementato l’accantonamento economico che si dispone debba essere previsto per attività archeologiche post-scavo). Essa era stata allora focalizzata su osservazione di alcune organizzazioni di rappresentanza di parte datoriale fra le quali piace ricordare in particolare l’Unione Artistico e Tradizionale di CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, ma a quanto pare tanto in quella occasione quanto nella presente il Ministero non ha ritenuto di elaborare un indirizzo per scongiurare una possibile conflittualità sindacale.
Mi si consenta in fine di sottolineare come nella presente Circolare la rigorosa distinzione fra la documentazione archeologica (intesa come registrazione oggettiva di dati tecnici archeologici che emergono nel corso dello scavo) e la progettazione archeologica (intesa come preventiva previsione organizzativa delle operatività da mettere in campo per l’esecuzione dello scavo archeologico) fa ordine riconducendo ad una differenziazione anche semantica ragionevole in un dibattito nel mondo archeologico non strettamente ministeriale che nei mesi scorsi aveva talora teso a confondere gli elaborati della progettazione archeologica con quelli della documentazione di scavo archeologico, forse anche sull’onda di un fraintendimento internazionalizzante dell’espressione inglese di “archaeological project”.
Ma questo è altro argomento del quale si potrebbe tornare a parlare un’altra volta.
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