L’invenzione della tecnologia per la produzione del ferro rappresentò un momento chiave nell’evoluzione della nostra civiltà, non solo perché il ferro presentava caratteristiche meccaniche superiori agli altri metalli allora conosciuti, ma anche perché, data la facilità di rinvenimento e l’abbondanza del minerale di ferro (molto superiore a quella di rame o stagno), permise di aumentare notevolmente la produzione di oggetti metallici e, quindi, di consentire la nascita dei primi siti industriali.
Un sito industriale si distingue da un sito artigianale non solo per le dimensioni, ma anche per il modo in cui si viene a organizzare: le quantità in gioco costringono a definire un’organizzazione nuova e una logistica complessa, con conseguenze importanti, da una parte sulla composizione sociale della città e dall’altra sull’ambiente.
Nell’antichità Populonia è stata senz’altro un sito siderurgico industriale, anzi il maggiore centro di produzione del ferro, ma perché la produzione di ferro venne spostata dall’Elba (dove sono le miniere di ematite) a Populonia? E perché, dopo secoli di intensa attività industriale, la produzione a Populonia cessò bruscamente nel corso del I sec. a.C.? Per rispondere a questi interrogativi (o meglio per confermare o smentire le ipotesi fatte da scrittori antichi e moderni) bisogna rispondere ad un’altra domanda: che dimensioni aveva il sito industriale di Populonia? Quante tonnellate produceva e quanta manodopera impiegava? Nulla ci dicono gli autori antichi su questi dati, e nulla o molto poco possiamo ottenere dagli scavi archeologici in corso, in quanto la principale fonte di informazioni, cioè il deposito di scorie ferrose formatosi nell’antichità ai piedi della città di Populonia, è stato riciclato negli altiforni moderni durante il secolo scorso. Quindi sembrerebbe impossibile calcolare oggi a distanza di più di due millenni la dimensione di questo sito industriale.
Eppure …
A Populonia nel secolo scorso il recupero del ferro dall’enorme deposito di scorie ferrose accumulato nell’antichità ha permesso di conoscere con buona precisione la quantità e la composizione chimica delle stesse scorie. Siccome conosciamo molto bene anche la composizione chimica del minerale ferroso estratto dalle miniere dell’Elba (e utilizzato dall’antichità fino ai nostri giorni), è possibile, per chi ha dimestichezza di stechiometria di reazioni chimiche e di bilanci di materia, arrivare a calcolare la quantità di ferro prodotto e di minerale consumato.
Sono così arrivato a calcolare che la produzione di ferro nel periodo di attività di Populonia (dal VI al I sec. a.C.) è stata di circa 2.500.000 tonnellate, e questo mi sembrava già un buon punto di arrivo per questo lavoro.
Altri studiosi in precedenza avevano tentato calcoli simili, arrivando a conclusioni non molto diverse, ma passare dalla produzione complessiva alla produzione annua è risultato per tutti un ostacolo insuperabile. Io ho aggirato tale ostacolo ipotizzando diverse curve di crescita della produzione (per similitudine con quelle di altri beni materiali in tempi moderni) e poi ho scelto la curva più probabile, dimostrando inoltre come adottando altre curve i risultati non differissero di molto.
Questo è stato il punto di partenza per altri calcoli: combinando i pochi dati archeologici, i molti (e spesso dispersivi) dati ottenuti dall’archeologia sperimentale, le conoscenze di organizzazione e di logistica (in fondo gli antichi ingegneri non avevano meno “ingegno” di quelli attuali), ho potuto calcolare tutte le grandezze caratteristiche di quel sito industriale, snocciolandole una dopo l’altra come i grani di un rosario.
Note le dimensioni dei forni di riduzione, il numero di forni che dovevano essere operanti nel periodo di massima produzione, il numero di carbonaie sparse nei boschi circostanti, il numero di navi per il trasporto del minerale dall’Elba a Populonia, il numero di animali da soma per il trasporto delle materie prime via terra e, infine, il numero totale di addetti, ne emerge un quadro impressionante ed inatteso, dato che gli abitanti della città industriale (per la maggior parte schiavi o condannati ad metalla) risultarono, al massimo della produzione, probabilmente superiori a quelli della città vera e propria.
Ma non basta: è stato possibile anche calcolare il consumo di carbone nei forni e quanta legna richiedesse questa produzione di carbone e quindi quale enorme superficie boschiva fosse necessaria coltivare: tale superficie era circa 3-4 volte la superficie dell’isola d’Elba, e questo a conferma che il motivo primo per il trasferimento della produzione di ferro dall’isola al continente fu la disponibilità di legname.
Infine ho anche tentato di immaginare come avvenisse la distribuzione delle materie prime (dai centri di produzione ai forni), mediante una rete di magazzini locali, e dove alloggiassero tutti gli addetti alla produzione del ferro, verosimilmente per la maggior parte nella stessa “spianata dei forni”, cioè fuori dalle mura cittadine.
Grazie a questo tentativo di quantificazione (pur ricco di dati incerti e di ipotesi non verificate o non verificabili) si ha un’idea più chiara della grande importanza e ricchezza acquisita da Populonia e si riesce a dare una risposta credibile alle domande iniziali. Si comprende perché nel corso del I sec. a.C., quando la produzione era al massimo, la fortuna di Populonia declinò rapidamente: Populonia era ormai passata da un paradiso (grande ricchezza, grande sviluppo urbanistico) a un inferno (degrado ambientale dovuto a inquinamento e disboscamento, eccessiva concentrazione di manodopera servile e conseguente degrado sociale).
Il libro contiene una ricca bibliografia che raccoglie tutti i dati esistenti su cui sono stati impostati i calcoli e conduce passo passo il lettore a scoprire le dimensioni del sito di Populonia, mostrando le formule utilizzate e i risultati ottenuti. In appendice è fornito anche un CD contenente tutti i calcoli in forma di foglio elettronico, per fornire al lettore anche la possibilità di verificare come cambierebbero i risultati cambiando qualche dato di partenza.
L’articolo è pubblicato su AI Blog come approfondimento relativo alla presentazione del volume “Populonia: inferno o paradiso? Il polo siderurgico di Populonia nell’antichità” recentemente edito da Aracne Edizioni. (NdR)