L’Assessorato BB.CC.AA. e P.I. della Regione Siciliana ha recentemente emanato un decreto (D.D.G. n° 5085) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione del 15 febbraio 2008. Il fine del provvedimento è quello di costituire elenchi di professionisti nel campo dei Beni Culturali a cui le nove Soprintendenze provinciali e la Soprintendenza del Mare potranno affidare “incarichi di servizi tecnici, non aventi natura di lavori pubblici, il cui importo stimato sia inferiore a 100.000,00 euro, I.V.A. esclusa”.
Chi è interessato ad essere incluso negli elenchi deve inviare all’Assessorato una domanda corredata da curriculum vitae e dalle attestazioni di precedenti collaborazioni prestate alla “Pubblica Amministrazione dei Beni Culturali, regionale e statale, o enti di pari natura giuridica operanti nell’Unione Europea” e/o “in progetti universitari curati da dipartimenti universitari operanti nell’Unione Europea” per periodi minimi di 12 o 24 mesi nell’ultimo quinquennio, a seconda dei vari profili.
In questo articolo si tratterà prevalentemente di Archeologi che operano sui cantieri di scavo.
La pubblicazione del D.D.G. 5085/08 ha innescato un grande dibattito tra coloro che sono già stati collaboratori esterni, coloro che vorrebbero diventarlo, docenti universitari, funzionari di soprintendenza.
Per poter esprimere un giudizio nel merito e comprendere a fondo le conseguenze di questo provvedimento regionale è bene considerare la situazione pregressa ed attuale dei collaboratori esterni nell’ambito delle attività condotte dall’Assessorato Regionale di cui le Soprintendenze rappresentano organi periferici.
In Sicilia gli interventi di ricerca archeologica sistematica e pianificata, ovvero non di emergenza, oltre che dalle Università (italiane e non) che operano su concessione, vengono promosse dall’Assessorato Regionale tramite le Soprintendenze e spesso finanziati con fondi europei (progetti P.O.R.) dei quali la Regione è beneficiaria in base alla presentazione di progetti di valorizzazione del patrimonio culturale. La prassi più frequentemente adottata dalle Soprintendenze è quella di bandire una gara di appalto a cui partecipano imprese edili. La ditta che si aggiudica i lavori dovrà procedere all’assunzione della manodopera non qualificata e alla fornitura dei mezzi e dei materiali previsti dal capitolato.
Il personale scientifico (archeologi, disegnatori, restauratori etc.) che dovrà operare sul cantiere di scavo viene direttamente contattato dalla Soprintendenza secondo un criterio puramente discrezionale da parte di funzionari e/o dirigenti che, nei casi migliori, hanno l’interesse a garantire continuità scientifica alla ricerca e ad assicurarsi, tramite la considerazione del curriculum e/o la segnalazione da parte di docenti universitari, che la preparazione del collaboratore sia attinente all’oggetto della ricerca.
Non è mai esistito un documento ufficiale che faccia riferimento ai titoli accademici che il collaboratore deve possedere o che indichi alle Soprintendenze le modalità di selezione ed è evidente che il criterio di scelta discrezionale non garantisce trasparenza e facilità di accesso agli incarichi per chi non ha mai avuto possibilità di far conoscere la propria professionalità.
Dopo che il collaboratore viene contattato dalla Soprintendenza, la tipologia di inquadramento è sempre stata disomogenea.
Alcune Soprintendenze adottano la soluzione della stipula di un contratto di collaborazione scientifica o di fornitura di servizi. Il contratto configura fondamentalmente un rapporto di lavoro para-subordinato (non viene richiesta la partita I.V.A.): sono specificate le mansioni che il collaboratore dovrà svolgere, quali assistenza giornaliera allo scavo, redazione di schede di Unità Stratigrafica, giornale di scavo, rilievi, sistemazione e schedatura preliminare del materiale rinvenuto; di solito l’importo del compenso è forfettario ed è soggetto a ritenuta d’acconto Irpef. Le collaborazioni dirette con una singola Soprintendenza non possono di norma superare i 20.000 euro all’anno. Non si considerano gli aspetti assicurativi, antinfortunistici e previdenziali e non si fa preciso riferimento né all’effettiva durata del cantiere (che può prolungarsi oltre i tempi previsti a causa di condizioni metereologiche o per altri imprevisti) né al periodo necessario a perfezionare la documentazione scientifica, che inevitabilmente il collaboratore cura in un periodo successivo alla chiusura del cantiere.
In altri casi la Soprintendenza recluta discrezionalmente e informalmente l’Archeologo esterno e lo mette in contatto con l’impresa appaltatrice, con cui il collaboratore contratterà personalmente inquadramento e trattamento economico. Configurandosi l’assunzione di personale dipendente, la Soprintendenza non può imporre al riguardo nessuna prescrizione all’impresa, a meno che il capitolato d’appalto non preveda a monte figure professionali specifiche; la Soprintendenza non produce inoltre alcuna lettera di incarico al collaboratore esterno, che è formalmente alle dipendenze di un’azienda privata. Anche nei casi più fortunati di assunzione a tempo indeterminato (sono comunque frequenti i contratti “a progetto”) come operaio specializzato di IV livello (molti vengono però assunti come operai comuni), il collaboratore viene licenziato al termine del cantiere edile ed elaborerà la documentazione scientifica da consegnare alla Soprintendenza lavorando fuori contratto. In altre parole, il collaboratore (informalmente della Soprintendenza) – archeologo (per formazione e mansioni effettivamente svolte) – operaio (formalmente dipendente dell’impresa edile) si dedica, solo in ragione della sua “etica professionale”, alla redazione della documentazione scientifica: la Soprintendenza giustamente la pretende, l’Archeologo sa che essa è prerogativa indispensabile del proprio ruolo scientifico, ma tale attività non rientra nelle mansioni dell’operaio, secondo quanto previsto dal Contratto Nazionale degli Edili e Affini.
In particolare, il Contratto Nazionale prevede, per l’Archeologo con mansioni di responsabilità scientifiche, l’inquadramento in ruoli impiegatizi (vedere C.c.n.l. 20/05/2004, art. 77: Classificazione dei lavoratori). Questo tipo di trattamento contrattuale e retributivo di fatto non si verifica mai: l’archeologo è indotto ad accettare quanto l’impresa propone pur di non disattendere l’impegno informale già assunto con la Soprintendenza.
Dopo la chiusura del cantiere di scavo e la consegna della documentazione scientifica da parte del collaboratore, in qualche caso la Soprintendenza organizza in tempi brevi l’edizione dei dati, voce raramente prevista a livello di progetto nella destinazione dei fondi finanziati. Nel caso in cui si decida, sempre a discrezione, di coinvolgere il collaboratore che ha condotto o ha collaborato alla ricerca sul campo, le possibilità di retribuzione si restringono ulteriormente: il tempo dedicato allo studio, le spese per gli spostamenti fuori sede, l’attrezzatura da disegno, il reperimento di materiale bibliografico non vengono di norma nemmeno rimborsati da parte dell’Amministrazione o dell’Università al collaboratore, nonostante le pubblicazioni siano poi spesso messe in vendita. L’attività di collaborazione a titolo gratuito sarà inoltre certificata con molta difficoltà da parte dell’ente pubblico.
Nel caso in cui un collaboratore esterno venga invece chiamato dalla Soprintendenza per l’assistenza su scavi di emergenza in occasione di rinvenimenti fortuiti durante la realizzazione di infrastrutture pubbliche o di edilizia privata, le condizioni lavorative sono ancora più precarie. A questo proposito è bene ricordare, per inciso, che la legge nazionale 109/2005 sull’archeologia preventiva non è ancora diffusamente recepita dalla Regione Sicilia e viene applicata solo in casi di infrastrutture finanziate direttamente dai Ministeri della Repubblica senza la partecipazione della Regione Sicilia (ad esempio in caso di realizzazione di gasdotti o reti ferroviarie). Solo in rari casi singole Soprintendenze hanno concordato protocolli d’intesa con altri enti locali per adottare adeguate procedure di intervento e tutela preventiva del patrimonio. Anche questa circostanza limita e manca di regolamentare le occasioni lavorative per gli Archeologi sul territorio regionale.
Il testo del D.D.G. 5085 non permette al momento di intravedere alcuna sostanziale modifica allo stato di fatto, prospettando piuttosto una sorta di formalizzazione del precariato del lavoro e della disomogeneità di trattamento contrattuale ed economico nell’ambito dei Beni Culturali.
Diverrebbe inoltre impossibile accedere agli incarichi per coloro che, pur essendo in possesso dei titoli accademici adeguati, non abbiano già avuto precedenti collaborazioni: il ruolo didattico – formativo delle Università ne risulterebbe dunque fortemente svilito.
L’approvazione ufficiale degli elenchi di professionisti, creando una categoria di personale scientifico esterno all’Amministrazione e precario, potrebbe inoltre inibire nel futuro la necessità di bandire concorsi pubblici per titoli ed esami per l’assunzione a tempo indeterminato nelle Soprintendenze.
Si propongono dunque alcuni spunti che l’Assessorato Regionale ai BB.CC.AA. e P.I. potrebbe adottare nel (ri-)concepire gli strumenti di regolamentazione del lavoro degli Archeologi collaboratori, in un’ottica di coerenza rispetto alle esigenze di alta qualità della ricerca scientifica (quale necessario ed intrinseco presupposto alla valorizzazione e fruizione didattica, culturale e turistica del patrimonio archeologico), di politica del lavoro, pari opportunità, imprenditoria.
Si dovrebbe svincolare l’attività di scavo archeologico dai cantieri edilizi che impongono modalità, figure professionali, costi e tempi di esecuzione non adeguati e difficilmente conciliabili con la rigorosa metodologia scientifica della ricerca archeologica (spesso l’unico Archeologo presente sul cantiere è costretto a controllare ed istruire sulle procedure di scavo numerosi manovali senza alcuna esperienza di scavo); piuttosto, prediligendo l’affidamento dei lavori di indagine archeologica a soggetti esterni non solo singoli, ma anche consorziati in società di ricerca o cooperative in possesso dei requisiti appropriati all’attività di ricerca e preventivando i costi per studi e pubblicazioni, si garantirebbe la qualità del risultato dei lavori e la piena giustificazione di investimento di denaro pubblico, dal momento dell’intervento sul terreno fino al naturale esito editoriale, di carattere sia scientifico che divulgativo. Gli Archeologi, fino ad oggi in Sicilia – a causa della discrezionalità nell’affidamento degli incarichi a singoli – scarsamente tutelati dal punto di vista della continuità lavorativa, retributiva, contributiva ed assistenziale, avrebbero maggiore sicurezza e possibilità di crescita imprenditoriale. Sarebbe inoltre possibile per gli archeologi più giovani e ancora in formazione, a partire dal conseguimento della laurea triennale, accedere al lavoro retribuito ed all’opportunità di maturare progressivamente una valida esperienza professionale da sviluppare e consolidare in seguito.
Nei casi in cui sarà necessario affidare a singoli professionisti gli incarichi tecnici connessi alla pianificazione, ricerca, tutela e valorizzazione dei Beni Culturali, dovranno essere contemplati con precisione tutti i titoli accademici equipollenti che garantiscano la competenza professionale per l’incarico specifico ed uniformare le tariffe.
Per i ruoli considerati (non sempre a ragione) collaterali, a cui potranno essere ammessi soggetti con formazione non specificamente archeologica o non universitaria (quali laurea in Architettura, Accademia di Belle Arti, diploma di geometra, corsi di formazione professionale), le precedenti esperienze curriculari o lavorative dovranno essere valutate con attenzione per garantire l’effettiva capacità alla partecipazione all’attività archeologica.
La Regione Siciliana si è già dimostrata in passato capace di adottare in maniera “pionieristica” validi strumenti legislativi a tutela del patrimonio: basti pensare alla Legge Regionale 98 del 1981 in materia di tutela ambientale e istituzione di aree protette, che ha preceduto di un decennio la normativa nazionale.
L’attuale situazione di dibattito rappresenta un’ottima occasione per l’Assessorato Regionale ai BB.CC.AA. e P.I. per adottare efficaci misure legislative a tutela e valorizzazione sia del patrimonio archeologico, sia del patrimonio di professionalità archeologiche, anticipando nuovamente le more della normativa nazionale in materia.
Donata Zirone per Archeologia Italiana