Uno dei settori di studio che in questi ultimi anni più ha contribuito all’indagine sulla musica nel mondo antico è l’archeologia musicale, un ambito multidisciplinare che applica i principi dell’archeologia alla ricerca musicologica. L’indagine sui materiali archeologici di interesse musicale, intesi sia come testimonianze iconografiche, sia come resti di strumenti musicali o di oggetti sonori, coinvolge diverse discipline, coordinate ed integrate tra loro secondo modalità determinate dai reperti oggetto di studio.
Partendo, quando possibile, dalle loro caratteristiche sonore, questo lavoro evidenzia come e perché tali oggetti fossero usati e a quale fine fossero destinati, permettendo di far luce su alcuni aspetti della musica degli antichi popoli italici e dei Romani.
Reperibilità
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Il commento di AI Libri
L’autrice propone un testo importante per inquadrare e introdurre il tema, ancora in evoluzione, dell’archeologia musicale. Il testo, oltre a presentare una ricca introduzione all’argomento, che qui proponiamo integralmente su gentile concessione dell’editore Ante Quem, analizza con un adeguato supporto iconografico, la realtà dell’Italia antica. L’archeologia appare come uno dei tasselli fondamentali, all’interno di una ricerca che per necessità di cose deve farsi multidisciplinare, e l’analisi dei resti materiali e iconografici di epoca romana e preromana è di importanza cruciale nel ricostruire e delineare quel mondo all’interno del quale la musica, nelle sue molteplici espressioni, ne esprimeva e condizionava cultura e società. Alla lettura colpiscono le differenze e le assonanze tra modalità di costruzione degli strumenti musicali e la loro rappresentazione artistica o figurativa, e di conseguenza il modo attraverso il quale si è evoluta l’organologia antica. Il ricco intreccio di note e di documentazione consultata dall’autrice, oltre ad un vasto apparato bibliografico, fanno di questo testo un punto di partenza fondamentale, anche per il semplice appassionato che volesse chiarire aspetti poco noti.
La scheda bibliografica
Castaldo Daniela, Musiche dell’Italia antica. Introduzione all’archeologia musicale. Bologna 2012, Ante Quem. Pp144, In8p, brossura editoriale, 82 illustrazioni bn nt. Collana Ricerche [2]
ISBN – 9788878490741
Introduzione
(di Daniela Castaldo) – ATTENZIONE – Riproduzione vietata
La presente trascrizione non riporta le note al testo, si rimanda per queste al volume
Archeologia musicale: obiettivi e prospettive di ricerca
L’archeologia musicale, un campo di ricerca interdisciplinare che ricorre ai metodi dell’archeologia e della musicologia, pur avendo radici lontane nel tempo, solo negli ultimi anni ha ispirato agli studiosi una riflessione su temi, obiettivi e metodi della ricerca. Infatti, tra i musicologi che si occupano del mondo antico si è fatta sempre più insistente la convinzione che, per ricostruire la cultura musicale delle antiche civiltà, sia necessario l’apporto di diverse discipline. Ispirandosi quindi ai metodi dell’archeologia musicale, intesa come «approccio multidisciplinare allo studio di tutte le culture musicali, in particolare quelle antiche»‘, questo studio intende far luce su alcuni aspetti della musica degli antichi popoli italici e dei Romani, nell’arco temporale tra il VII secolo a.C. e il II-III d.C.
L’interesse per la musica antica, in particolare quella greca, risale a tempi remoti: soprattutto dal XV secolo, gli studiosi hanno tradotto e studiato le testimonianze scritte giunte fino a noi, riguardanti aspetti della musica come la teoria, la notazione, l’acustica, le sue implicazioni etiche e filosofiche. Poi, il loro interesse si è esteso anche ai testi di antichi strumenti musicali e lo studio degli aspetti organologici ha acquisito sempre maggiore importanza. Recentemente però, ci si è accorti che queste fonti, che il musicologo definirebbe “primarie”, permettono sì di far luce su molti aspetti della teoria musicale e dell’organologia antica, ma non forniscono informazioni utili ai fini della ricerca storico-musicale. Solo sulla base di questo tipo di informazioni “tecniche”, intrinseche al fenomeno sonoro, risulta impossibile ricostruire aspetti della presenza della musica nelle società antiche, in particolare quelli più propriamente pratici (come ad esempio le occasioni, i luoghi, l‘interazione con il pubblico, i significati sociali) e, più in generale, quelli relativi alle sue implicazioni religiose, sociali e culturali. L’obiettivo dello studioso interessato alle musiche delle culture antiche è dunque quello di raccogliere informazioni che permettano di collocare l’evento sonoro in uno spazio, in un luogo e in un’occasione ben determinati e di interpretarne il significato sociale, culturale e religioso. A tal proposito, ci sembrano appropriate anche per il mondo antico le considerazioni formulate dall’etnomusicologo Gerard Béhague a proposito di moderni gruppi culturali extraeuropei: gli elementi non-musicali influenzerebbero sensibilmente i risultati di una performance musicale e quindi il significato delle pratiche esecutive sarebbe determinato dalla relazione tra il contenuto musicale e il suo contesto. In questa prospettiva appare chiaro come, per ricostruire aspetti della dimensione sonora e musicale del mondo antico, non sia sufficiente studiare l’evento sonoro in quanto elemento isolato e autoreferenziale, ma sia invece necessario metterlo in relazione con il contesto in cui ha avuto luogo. In questa direzione sembra andare la studiosa tedesca Ellen Hickmann, quando definisce l’archeologia musicale come “l’applicazione dei metodi dell’archeologia allo studio della musica”, puntualizzando poi che “partendo dall’analisi dei reperti archeologici, in qualunque modo acquisiti, l‘archeologia musicale ricostruisce la musica e la vita musicale delle culture antiche e dei gruppi etnici che spesso risalgono ad età molto lontane nel tempo. Essa cerca anche di scoprire elementi o tracce della cultura musicale antica nella più recente storia delle società che vivono nella stessa area geografica”. Inoltre, in senso lato, l’archeologia musicale consiste nella conservazione, analisi ed interpretazione dei reperti archeologici relativi a “tutta la musica fatta nell‘antichità … tutto quanto è stato prodotto, eseguito, ascoltato nel corso dei secoli e forse dei millenni e non è mai stato raccolto per iscritto … L’esperienza del “fare musica” di tutti gli uomini nei diversi contesti sociali, culturali, economici, storici in cui sono vissuti e hanno operato nell’antichità”. Dunque, se con il termine “musica” di una civiltà si intende la sua “cultura musicale”, cioè tutti i tipi di eventi musicali in relazione con le manifestazioni della vita civile e religiosa, allora il punto di partenza per un’indagine sulla musica antica sarà una lettura dei reperti archeologici alla luce del contesto di ritrovamento e delle occasioni d’uso.
Muovendo da queste considerazioni, si può ancora aggiungere che l’archeologia musicale studia i reperti archeologici d’interesse musicale, partendo, quando possibile, dalle loro caratteristiche sonore, per evidenziare come e perché fossero usati e a quale fine fossero destinati. Essa si connota come un campo di ricerca inter- e pluridisciplinare in cui sono coinvolte la musicologia e la sociologia, l’etnomusicologia, l’antropologia, la linguistica, l’archeologia, l’acustica, la storia dell’arte, la storia delle religioni, la storia antica, per permettere un approccio olistico in cui i diversi apporti siano coordinati ed integrati tra loro secondo modalità di volta in volta differenti, determinate dalle peculiarità del reperto archeologico oggetto di studio. Inoltre, l’archeologia musicale si avvale di un metodo strettamente storicistico, che si propone di indagare gli eventi sonori del passato in relazione alla cultura e ai mutamenti politico sociali, in una prospettiva antropologico-religiosa che intende verificare l’intimo rapporto esistente fra i fenomeni musicali, i culti, le cerimonie festive e l’ideologia funeraria.
Oggetto di questo “approccio multidisciplinare” è dunque lo studio dei “past musical behaviours and sound”, i “comportamenti musicali e i suoni del passato”, relativi ai popoli la cui produzione musicale non può essere raccolta e studiata attraverso la tradizione orale, sebbene in alcuni casi sia stato elaborato un sistema di notazione: anche i popoli italici, i Greci e i Romani possono essere considerati tra questi “popoli senza note, come sono stati recentemente definiti”.
Quali sono allora le fonti per la ricerca archeo-musicologica, in particolare quella relativa ai popoli italici e ai Romani, oggetto di questo studio? In primo luogo i resti di antichi strumenti musicali, lyrai, auloi, tubae, ma anche di “oggetti sonori” (sound tools), fischietti, sonagli, campanelli, richiami per uccelli. Quindi, ugualmente importanti, le loro rappresentazioni in tutti i campi delle arti figurative. Gli oggetti musicali e le loro immagini possono essere interpretati alla luce di diversi tipi di fonti scritte: quelle riguardanti direttamente la musica, come i trattati musicali e i frammenti con tracce di notazione; ma soprattutto i testi di argomento non principalmente musicale, come quelli poetici ed epigrafici, i lessici e i commenti, i racconti di storici e geografi, in cui siano tuttavia presenti riferimenti alla musica. In ogni caso, le testimonianze propriamente musicali (strumenti, teoria e notazione) di per sé non forniscono informazioni utili allo storico della musica, ma parlano solo se messe in relazione con il loro contesto.
Partendo da questi dati, lo studioso diventa così in grado di far luce sull‘evento sonoro in tutte le sue espressioni e di comprendere “le circostanze in cui avviene, le funzioni che volge, le finalità che si propone, le emozioni che genera, i giudizi che provoca, i ricordi che evoca”, collocandolo così nel contesto sociale e culturale in cui si svolge. Queste considerazioni permettono in qualche modo di applicare all’archeologia musicale la definizione di “studio della musica nella cultura” formulata da Alan Merriam per l’etnomusicologia, pur tenendo sempre presente che cambiando il contesto di ritrovamento e le coordinate cronologiche, anche i significati mutano. È prendendo spunto da queste riflessioni che vorremmo accostarci al tema della musica nel mondo italico e romano: i reperti archeologici, nell’ampia accezione che comprende sia gli oggetti sonori, sia le loro rappresentazioni, saranno considerati punto di partenza dell‘indagine e non complemento e integrazione delle fonti letterarie. Classificati e datati secondo criteri archeologici, essi saranno interpretati, quando possibile, alla luce del contesto di ritrovamento (tomba, abitato, luogo destinato al culto), al fine di mettere in evidenza gli aspetti sociali e culturali dell‘evento musicale, ad esempio lo dei musicisti e dell’uditorio, i luoghi, le occasioni e i significati dell’evento musicale. Ulteriori considerazioni sulla loro sonorità saranno rese possibili dalle numerose e recenti esperienze di ricostruzione e riproduzione di antichi strumenti musicali.
Non solo gli oggetti sonori, ma anche le loro rappresentazioni sono molto importanti per lo Studio della musica nel mondo antico. Scene che illustrano eventi musicali sono rappresentate in numerose classi di oggetti, come dipinti, rilievi, affreschi, mosaici, vasi, statue, monete, tessuti, monili ed elementi architettonici. Si tratta spesso di manufatti molto noti e ben studiati dagli archeologi, ma che non sono mai stati considerati in una prospettiva musicale. Nella lettura di quesre testimonianze figurate, è importante ricordare che i modelli iconografici si trasformano necessariamente nel passaggio da un medium visuale all’altro, che i testi e le immagini sono indipendenti e si trasmettono secondo regole proprie e che, soprattutto, le immagini non sono lo specchio diretto della realtà, ma a questa alludono attraverso il filtro delle convenzioni delle arti visive.
In qualunque modo avvenga questo processo di studio e ricostruzione della musica antica, rimane sempre valida la considerazione che Georges Duby faceva a proposito della storia medievale: lo storico non può ricreare il passato, ma solo immaginarlo. Per quanto le nostre fonti siano ricche, la storia richiede immaginazione e la nostra conoscenza sarà sempre limitata dalle nostre percezioni, dalla nostra mentalità, dalla nostra realtà.
Lineamenti di storia dell’archeologia musicale
L’interesse per la musica dell’antichità risale al Quattrocento, quando gli Umanisti, nella prospettiva di una più generale riscoperta del mondo antico, cominciarono a considerarne anche gli aspetti musicali. Essi si dedicarono infatti al recupero dei manoscritti greci e romani sulla teoria e sulla notazione musicale, come ad esempio il Peri mousikes di Aristide Quintiliano, e il De institutione musica di Boezio, per tradurli, ricopiarli, studiarli, interpretarli. Oltre alla teoria musicale e alle sue implicazioni filosofiche, l’altro grande tema d’interesse per gli studiosi fu quello organologico: tra il 1632 e il 1655 Giovan Battista Doni, nell’opera che illustra il nuovo strumento musicale da lui inventato, la Lyra Barberina, riprodusse dettagli di bassorilievi romani per descrivere l’evoluzione degli antichi strumenti a corda. Negli stessi anni, Marin Mersenne nella sua Harmonie universelle (1636), pubblicò i disegni di alcuni strumenti musicali copiati da marmi e monete antiche. Si tratta di rappresentazioni piuttosto suggestive ed evocative, per quanto molto inesatte e fantasiose, riprese poi in parte anche nella Musurgia Universalis di Athanasius Kircher.
Circa un secolo dopo, alcuni strumenti musicali venuti alla luce durante gli scavi di Pompei ed Ercolano attirarono l’attenzione dei musicologi dell’epoca: tra loro anche Francois-Auguste Gevaert che, per studiarne in modo sperimentale sia l’intonazione sia la tecnica esecutiva, alla fine dell’Ottocento ne fece eseguire delle repliche. Nella realizzazione di questi strumenti fu determinante l‘esperienza del liutaio al quale Gevaert si rivolse, ma anche i risultati di anni di studio dei testi sulla teoria musicale greca e dei frammenti con notazione musicale di cui egli disponeva. Durante il concerto “greco-romano” che si tenne nel 1896 a Bruxelles vennero eseguite le musiche di “autentiche partiture greche” con verosimili repliche fatte costruire da Gevaert. Questo evento, come sostiene Annie Bélis, può essere considerato l’atto di nascita dell’archeologia musicale, perché “per ritrovare una musica perduta … lo studioso belga si basò su tutti i tipi di fonti (scritte, figurate e archeologiche) e fece riferimento a tutti i campi del sapere (filologia, musicologia, organologia)”. Fu però lo storico ed erudito francese Charles-Émile Ruelle ad usare per primo la definizione “archeologia musicale”. Nella sua Collection des auteurs grecs relatifs à la musique, una serie di traduzioni di teorici musicali greci, pubblicata alla fine dell’Ottocento, egli osserva come un’opera di questo tipo possa essere necessaria per gli artisti, “curiosi di archeologia musicale” che vogliano esercitarsi ad eseguire le melodie antiche. Se a Ruelle si deve la formulazione di questa definizione, il primo ad usarla in un’accezione moderna, lontana dall’impostazione filologica e antiquaria consolidatasi nella tradizione degli studi che dura per tutto l’Ottocento, fu il musicologo svizzero Zygmunt Estreicher che nel 1948 scrisse una recensione al libro di Curt Sachs The Rise of Music in the Ancient World: East and West (New York, 1943), intitolandola Ein Versuch der Musikarchäologie (Un contributo all’archeologia musicale).
In tempi più recenti, queste due discipline, archeologia e musicologia, sono state associate per la prima volta durante il XII Convegno dell’International Musicological Society, tenutosi nel 1977 a Berkeley. In questa occasione, nella tavola rotonda intitolata Music and Archaeology furono invitati alcuni specialisti per discutere sui reperti musicali delle antiche culture dell’Europa, del Vicino Oriente, di Cina, Indocina, Indonesia e del Messico, in un ampio arco temporale dal Neolitico al I secolo a.C. Questo fu l’atto di nascita del primo Study Group on Music Archaeology, fondato ufficialmente nel 1983 all’interno dell’International Council for Traditional Music. Dal 1983 al 1996 il gruppo di studio tenne otto meeting internazionali in cui si cercò di definire la metodologia e il campo di ricerca dell’archeologia musicale come “disciplina” potenzialmente in grado di colmare i vuoti nella musicologia storica e nell’etnomusicologia. Dopo aver cessato l’attività nel 1996, il gruppo fu ricostituito nel 2001 e si riunì prima nel 2005, poi nel 2007, tenendo da allora meeting biennali. L’interesse per questo settore della musicologia è testimoniato dalla nascita di un altro gruppo di ricerca sull’archeologia musicale, l’International Study Group on Music Archaeology (ISGMA), fondato nel 1996 da Ellen Hickmann e tutt’ora attivo. Gli studiosi che ne fanno parte, muovendo da discipline come “l’archeologia, l’organologia, l’acustica, l’iconologia musicale, la filologia, l’etnostoria e l’etnomusicologia”, studiano diversi aspetti della musica presso le antiche civiltà sviluppatesi in Egitto, Vicino Oriente, Europa continentale e mediterranea, ma anche in India, Cina e in altre aree dell’Estremo Oriente, Australia e America precolombiana. In collaborazione con il Deutsches Archaologisches Institut di Berlino, I’ISGMA organizza ad anni alterni i suoi convegni i cui atti sono pubblicati nella serie Studien zur Musikarchaologie. Focalizzati invece sul mondo greco-romano, nei suoi rapporti con le culture del bacino del Mediterraneo, sono gli studiosi associati a MOISA, l’International Society for the Study of Greek and Roman Music and Its Cultural Heritage. L’archeologia musicale, insieme con la filologia, la storia delle religioni, l’etnomusicologia, l’antropologia, costituiscono i campi di ricerca del gruppo che, nato nel 2006, è presieduto da allora da Andrew Barker. Anche MOISA organizza incontri annuali di cui sono disponibili gli atti e recentemente ha promosso la nascita di una rivista internazionale, Greek and Roman Musical Studies. Inoltre, nel sito web dell’associazione, alla voce De Musicis è disponibile una bibliografia sull’antica musica greca e romana, aggiornata al 2000.
Una riflessione metodologica approfondita e articolata sull’archeologia musicale ha avuto luogo soprattutto dalla fine degli anni Novanta, mettendo in luce la necessità di avvalersi di un approccio pluridisciplinare che tenesse anche conto dei metodi dell’etnomusicologia. In particolare ci riferiamo agli scritti di Ann Bukley sull’opportunità di affrontare lo studio dell’archeologia musicale dalla Preistoria alle classiche culture ““alte” (“classical “high” cultures”) della Cina antica, ma anche del Mediterraneo antico, Egitto, Mesopotamia, Grecia e Roma, in un rapporto di scambio e complementarietà reciproca con la musicologia storica e l’etnomusicologia. L’inserimento della voce relativa all‘archeologia musicale nella seconda edizione dei più importanti dizionari enciclopedici di argomento musicologico. il New Grave Dictionary of Music and Musicians (s.v. Musicarchaeology, 2001) e l’MGG-Die Musik in Geschichte und Gegenwart (s.v. Musikarchaologie, 1997), prova come questa disciplina, all’inizio del terzo millennio, fosse ormai entrata a pieno titolo tra quelle di competenza dei musicologi.
A proposito del dibattito metodologico continuato negli anni successivi, ricordiamo gli interventi di Bruno Nettl e Stelios Psaroudakes: quest’ultimo ha sottolineato l’importanza di estendere anche alle culture del Mediterraneo antico, come quella greca, etrusca e romana, una ricerca condotta secondo il tipo di approccio articolato cui faceva riferimento anche Ann Buckley. A queste riflessioni si aggiunge quella di Adje Both che recentemente ha evidenziato come l’indagine archeologico-musicale richieda un approccio elastico, che coinvolga discipline di volta in volta diverse, secondo il tipo di materiale oggetto della ricerca; e ha sottolineato anche l’importanza delle nuove tecnologie nell’archeologia sperimentale volta alla ricostruzione degli oggetti sonori del mondo antico.
Parallelamente a quella sull’archeologia musicale, dagli anni Ottanta si svolgeva anche in Italia una riflessione che, partendo questa volta dalla musicologia, arrivava ad analoghe conclusioni sulla necessità di un approccio pluridisciplinare nella ricerca relativa alla storia della musica e all’etnomusicologia. In questa prospettiva fu particolarmente feconda la collaborazione tra lo studioso di musica medievale F. Alberro Gallo e l’etnomusicologo Roberto Leydi: il primo, prendendo spunto dal mondo medievale, parlava di “una storia della musica come storia della cultura” il secondo, avvertendo l’esigenza di conferire agli eventi musicali moderni, oggetto di studio dell’etnomusicologia, una dimensione “verticale”, li collocava in una prospettiva storica“. Essi promossero una serie di incontri sulla musica nel Mediterraneo antico avviando la collaborazione con studiosi di diverse discipline ed ambiti culturali, quali antropologi, filologi, iconografi, storici e musicologi: ricordiamo, dal 1991, i Seminari veneziani presso la Fondazione Levi, diretta da Giulio Cattin; e nel 2005 il seminario Etnomusicologia storica del mondo antico, presso la Scuola Superiore di Studi Umanistici dell’Università di Bologna, organizzato da Donatella Restani. Quest’ultima, partendo dagli stessi presupposti, coordinò in seguito il convegno Eventi sonori nei racconti di viaggio: prima e dopo Colombo (Genova 2006) e l’Atelier del Dottorato di ricerca in Musicologia e Beni musicali dell’Università di Bologna, dal titolo Per una storia dei popoli senza note (2007).
Nella prospettiva dell’interpretazione antropologica dell’evento sonoro, si inserisce anche un altro gruppo di studio, il GREP, il Gruppo di Ricerca sull’Etnopoetica, recentemente formatosi in Francia: gli etnologi, antropologi, musicologi e classicisti che ne fanno parte studiano il significato e gli effetti di parole, movimenti e suoni, vocali e strumentali, presso alcune culture antiche e moderne.
Vorremmo ora ricordare alcuni tra i contributi più significativi che hanno affrontato il tema della musica nell’antichità classica, secondo le prospettive dell’archeologia musicale: essi riguardano particolari regioni ed epoche, specifiche tipologie di Strumenti, aspetti acustici relativi alla performance eseguita con riproduzioni di antichi strumenti musicali e oggetti sonori. Tra i primi esempi in cui si proponeva un’indagine basata sull’analisi di reperti archeologici si possono ricordare le monografie della serie Musik Geschichte in Bildern, curata da H. Besseler e M. Schneider. La seconda parte, Musik des Altertums, comprendeva, tra gli altri, anche i volumi Griechenland ed Etrurien und Rom, in cui si affrontava lo studio degli aspetti musicali dell’antichità classica secondo la prospettiva iconografica. Ancora dalle immagini partiva l’autore del volume sulla Grecia, Max Wegner, in Musik und Tanz, uno studio sulla danza nella ceramica geometrica. Citiamo poi il numero monografico della rivista World Archaeology, interamente dedicato all’archeologia degli strumenti musicali, e i numerosi contributi pubblicati nell’ambito dei diversi gruppi di studio citati sopra, l’ICTM Study Group on Music Archaeology, l’ISGMA, i Seminari della Fondazione Levi e MOISA. L’archeologia musicale fu anche il tema di convegni organizzati da altri gruppi di studiosi: ad esempio Hearing the Past, tenutosi a Cambridge nel 1991 e Archeologie et musique, svoltosi dieci anni dopo al Musée de la Musique di Parigi. Sugli strumenti musicali greci e romani sono invece incentrati numerosi contributi di Annie Bélis e le monografie L’instrument de musique dans la céramique de la Grèce antique, di Daniel Paquette; Stringed Instruments of Ancient Greece di Martha Maas e Jane McIntosh Snyders, i più recenti studi di Susanna Sarti e la monografia Instruments à cordes et musiciens dans l’empire romain, di Christophe Vendries. Si tratta di studi che affrontano l’argomento da un punto di vista non solo organologico, ma anche considerando il contesto d’uso degli strumenti e il loro significato simbolico. Ad un livello meno teorico e più legato alla pratica musicale, le problematiche relative alla possibilità di eseguire l’antica musica greca sono state indagate da un gruppo di studiosi di diverse discipline nel corso del convegno Ancient Greek Music in Performance (Vienna 2003). L’organizzatore di questo incontro, Stefan Hagel, ha recentemente pubblicato la monografia Ancient Greek Music. A New Technical History, in cui discute l’evidenza testuale e iconografica, introducendo, dove possibile, anche una prospettiva matematica finalizzata alla ricostruzione degli antichi strumenti musicali greci. La riflessione sugli aspetti performativi dell‘antica musica greca non può ovviamente prescindere dalle edizioni dei frammenti delle antiche melodie, di cui la versione più recente e completa è senza dubbio la monografia Documents of Ancient Greek Music: the Extant Melodies and Fragments, pubblicata nel 2001 da Egert Pohlmann e Martin West.
In tempi recenti si è notevolmente affermata la tendenza a realizzare copie di strumenti anche in presenza di originali ben conservati: questo approccio permette di mettere a fuoco elementi legati alle caratteristiche morfologiche, agli aspetti performativi e ai significati socio-culturali legati all’organologia antica. Relativamente al mondo greco-romano, segnaliamo l’Ensemble Kérylos, diretto dalla filologa classica Annie Bélis, che nel 1996 ha realizzato l’incisione Musiques de l’Antiquité grecque, trascrivendo in versione moderna i frammenti con notazione musicale greca ed eseguendoli con accurate repliche di strumenti antichi. Un esperimento analogo, ma con esiti piuttosto diversi, è stato condotto da Stefan Hagel che, partendo da reperti archeologici e leggendoli alla luce dei testi e delle immagini, ricostruisce repliche di strumenti greci e romani, eseguendo con esse le “partiture” antiche. Diversamente, i gruppi che eseguono l’antica musica romana, come l’italiano Ludi Scaenici (ma anche, in anni passati, Synaulia) o il tedesco Musica Romana, interpretano per lo più musiche composte in tempi moderni, ma fortemente evocativa, con repliche fedeli di antichi strumenti. Se la maggior parte di questi casi riguarda l’antichità classica, esistono tuttavia anche esempi di archeologia musicale sperimentale che riguardano la musica dell‘Egitto antico e del Vicino Oriente: in tempi recenti il più noto è forse quello che riguarda la lira d’oro di Ur, ricostruita con materiali originali da un gruppo diretto da Andy Lowings.
Negli ultimi vent’anni, oltre all’approccio organologico, molti studiosi hanno considerato con maggiore attenzione gli aspetti relativi al contesto d’uso degli strumenti musicali, alla figura dei musicisti e al significato della performance musicale. Lo studio dell’iconografia si rivela particolarmente idoneo a mettere in luce questi elementi e spesso, anzi, i documenti visivi costituiscono l’unica fonte disponibile. La creazione, nel 1984, della rivista Imago musicae. The International Yearbook of Musical Iconograpby ad opera di Tilman Seebass ha sancito il riconoscimento, da parte della comunità scientifica, del ruolo dell’iconografia musicale nella ricerca musicologica. Sia in Imago musicae, sia in Music in Art. International Journal for Music Iconograpby, diretta da Zdravko Blazekovic, l’altra importante rivista che tratta dei temi relativi alla musica nelle arti figurative, sono spesso pubblicati contributi sulla musica nel mondo antico.
Per quanto riguarda l’antica musica greca, uno dei primi esempi moderni di lettura iconografica è stata la mostra Lo specchio della musica, con il relativo catalogo curato da Fede Berti e Donatella Restani, in cui fu esposto un corpus di ceramiche attiche con iconografia musicale rinvenute a Spina. Nella stessa prospettiva di uno studio dell’antica musica greca basato su fonti iconografiche, si pongono gli studi Il Pantheon musicale, sulle rappresentazioni degli dei musici nella ceramica attica, e Music and Image in classical Athens, in cui le scene musicali presenti nella ceramica attica del V secolo sono interpretate alla luce del dibattito sulla musica che aveva luogo in quegli anni e come metafora visuale dell’armonia (e della disarmonia) della polis ateniese. Strettamente legato a quello musicale, il tema della danza nel mondo greco e stato oggetto di studi recenti basati anche su fonti iconografiche: ricordiamo i saggi di Frederick G. Naerebout e quelli di Tyler Jo Smith sulle danze dei komasti.
Testimonianze musicali provenienti da diverse regioni del mondo greco, non più solo dall’Attica, furono considerate nella mostra Dons des Muses. Musique et danse dans la Grèce Ancienne, tenutasi a Bruxelles nel 2003 in collaborazione con il Ministero greco della Cultura. Gli oggetti esposti, vasi, affreschi, monete, piccola statuaria, frammenti di strumenti musicali provenienti da tutta la Grecia, suggerivano un tema, quello del regionalismo e del multiculturalismo nelle tradizioni musicali dell’antichità, che fu poi ripreso e sviluppato nel convegno Moisa Epichorios. Regional Music and Musical Regions, tenutosi a Ravenna nel 2009. Questa fu l’occasione per sottolineare con decisione l’esigenza di collocare la cultura greca nel più ampio panorama mediterraneo, mettendo in luce le differenze tra tradizioni locali e regionali e le relazioni dei Greci con i popoli vicini.
Anche se l’interesse degli studiosi si è concentrato soprattutto sul mondo greco, come attesta anche il convegno La Musa dimenticata. Aspetti dell’esperienza musicale greca nell’età ellenistica, organizzato da Maria Chiara Martinelli (Pisa 2006), tuttavia in questi ultimi anni si è guardato anche ai popoli italici prima della romanizzazione della Penisola, ad esempio gli Etruschi o i popoli della Magna Grecia e della Sicilia. Riguardo questi temi, ricordiamo gli studi di Jean-René Jannot sulla musica etrusca, il convegno La musica in Etruria, tenutosi a Tarquinia nel 2009 e i contributi di Angela Bellia sulla Sicilia antica. Questi studi hanno permesso di mettere a fuoco aspetti relativi sia alla cultura musicale delle popolazioni indigene, sia alle interazioni e alle reciproche influenze nei loro rapporti con i Greci.
Per quanto riguarda il mondo romano, in Italia uno dei primi esempi in cui allo studio dei testi era associato quello di diversi tipi di reperti archeologici, fu la mostra La musica ritrovata, in cui furono proposti diversi materiali che illustravano aspetti della cultura musicale a Ravenna e in Romagna tra I e VI secolo. Su temi musicali relativi all’area vesuviana si sono concentrati invece gli studi condotti in tempi recenti da Roberto Melini. Numerosi contributi sull’archeologia musicale gallo-romana sono stati proposti dagli studiosi francesi: Catherine Homo-Lechner e Christophe Vendries, curatori della mostra Le carnyx et la lyre: archéologie musicale en Gaule celtique et romaine, nel proposito di definire il paesaggio sonoro della Gallia gallo-romana, sottolinearono i modi e le vie dell’acculturazione musicale determinata dalla romanizzazione, mettendo in evidenza le permanenze e le peculiarità dei Celti indigeni. Alcuni studi sono invece dedicati alla presenza della musica non in una regione geografica definita, ma in specifiche occasioni e contesti: nella monografia Musique et spectacles à Rome et dans l’Occident romain sous la Republique et le Haut-Empire, Valerie Péché et Cristophe Vendries hanno ricostruito il mondo degli spettacoli nell’antica Roma, partendo da differenti tipi di fonti, iconografia, archeologia, epigrafia e architettura, e mettendo in evidenza i luoghi della performance e lo status dei musicisti e del pubblico. Era invece incentrato sui rapporti tra musica e religione nel mondo greco-romano il convegno Chanter les dieux: musique et religion dans l’Antiquité grecque et romaine: anche in questo caso, attraverso l’analisi di diversi tipi di fonti, si giungeva a far luce sul ruolo della musica e dei musicisti professionisti durante le cerimonie religiose, nonché sulle caratteristiche e il significato delle divinità rappresentate con strumenti musicali. Uno di questi ultimi temi, i musicisti professionisti, è stato sviluppato nella monografia Les Musiciens dans l’Antiquité: l’autrice, Annie Bélis, attraverso lo studio di immagini, testi, ma anche frammenti di musica notata e di strumenti musicali, delinea un quadro interessante della formazione di musicisti dilettanti e professionisti, uomini e donne, dei diversi repertori che essi eseguivano e dei luoghi e delle occasioni in cui si esibivano. Sempre riguardo all’età romana, segnaliamo anche il recente L’organo tardoantico, in cui Paola Dessì, esaminando diversi tipi di fonti, cerca di mettere in evidenza non tanto le caratteristiche organologiche dello strumento, quanto piuttosto, in una prospettiva alquanto innovativa, le sue valenze simboliche e la sua importanza come strumento simbolo del potere regale.
Questi studi, che propongono approcci tra loro indipendenti, ma tutti ugualmente necessari per ricostruire la cultura musicale delle antiche civiltà, permettono in parte di chiarire alcuni aspetti delle musiche antiche, ad esempio le caratteristiche organologiche degli strumenti o i contesti in cui avevano luogo gli eventi sonori. Ma quali musiche fossero suonate e come fossero eseguite rimane un punto oscuro su cui la documentazione rimasta permette di far luce solo in parte.
Nei capitoli in cui è suddiviso questo studio sono stati trattati alcuni aspetti relativi alla presenza della musica in alcune tra le aree culturali più significative dell’Italia antica. I materiali, frammenti di strumenti musicali e testimonianze iconografiche, passi di testi letterari, poetici ed epigrafici, sono stati organizzati, ove possibile, secondo criteri cronologici e geografici.
I termini relativi agli strumenti musicali sono quelli usati dagli autori greci e latini: le definizioni moderne, anche quando sembrano simili a quelle antiche, si riferiscono in realtà a strumenti musicali con caratteristiche molto diverse. Il termine moderno “lira”, ad esempio, nell’accezione moderna non indica l’omonimo cordofono greco (lyra), ma una famiglia di strumenti caratterizzati da corde di uguale lunghezza, nella quale sono comprese sia la lyra (e il barbitos), sia la kithara greca con il suo corrispondente latino cithara. Il termine greco aulos e il corrispondente latino tibia, spesso tradotti impropriamente con “flauto”, indicano invece strumenti a fiato che non trovano un corrispettivo moderno, anche se l’uso dell’ancia doppia li rende in qualche modo simili al moderno oboe. È importante inoltre ricordare che anche l’uso dei termini antichi è puramente convenzionale: molto spesso infatti si usa la stessa definizione per indicare strumenti che, pur appartenendo alla stessa famiglia, presentano però caratteristiche molto diverse. Ad esempio, la kithara raffigurata nella ceramica geometrica è molto diversa da quella presente nei vasi attici e apuli, e dalla cithara illustrata nella pittura pompeiana o nei mosaici tardo-antichi: il termine usato rimane lo stesso, ma viene riferito a strumenti che si trasformano nel tempo e assumono aspetti diversi da una regione all’altra. Per le descrizioni degli strumenti musicali menzionati nel testo si rimanda alla monografia di Martin West e alle relative voci del New Grove’s Dictionary of Music and Musicians segnalate in bibliografia.
Indice volume
Introduzione
Archeologia musicale: obiettivi e prospettive di ricerca [5-8]
Lineamenti di storia dell’archeologia musicale [9-18]
Etruria
Il corno dell’oplita [19-24]
Il lituus [25-27]
Iconografia musicale nelle pitture funerarie etrusche [28-34]
Veneto ed Etruria padana
Musica nell’Arte delle situle [35-46]
La salpinx degli Etruschi padani [47-52]
Le trombe dei Celti [53-58]
Magna Grecia
Frammenti di lyrai dall’area messapica e campana [59-66]
Musica e riti funerari negli affreschi lucani [67-72]
Musica a Taranto in età ellenistica [73-88]
Roma
Temi musicali nelle monete romane [89-94]
Musica e propaganda politica in età augustea [95-99]
Trombe di bronzo di età romana (I-III sec. d.C.) [100-106]
Musica e spettacoli nei mosaici romani [107-116]
Bibliografia, discografia, siti web [117-140]
Indice dei passi citati