Le cosiddette Guerre Afghane (o più precisamente guerre Anglo-Afghane) sono forse le più note dell’epoca coloniale britannica e quelle che più di altre hanno alimentato il mito dell'”epopea” coloniale in India. Luoghi come il celebre Khyber Pass ancora suscitano una certa emozione negli inglesi, alimentati in questo da scrittori – primo tra tutti Kipling – o film degli anni trenta come “Gunga Din” e “I lanceri del Bengala”.
Tre furono le diverse guerre, in parte sfortunate, almeno per i britannici. La prima nel 1839-42, la seconda nel 1878-81, la terza nel 1919.
Tra le ultime due va poi collocato il cosiddetto incidente di Panjdeh, che, a causa di un attacco russo a truppe afghane, vide quasi scoppiare la guerra tra Russia e Gran Bretagna. Bisogna poi considerare che l’Afghanistan non ebbe mai un governo centralizzato efficiente e che l’esistenza di realtà tribali semindipendenti causarono, oltre a problemi di stabilità interna, anche una serie di continui attriti e piccoli scontri nella permeabile frontiera con l’India britannica, di cui il già citato Khyber Pass era la porta principale.
L’incidente di Panjdeh è perfettamente sintomatico della reale causa delle guerre afghane. L’Afghanistan, infatti, al contrario delle generalmente ricche e popolose terre del subcontinente indiano, non era e non è tuttora molto appetibile dal punto di vista di un’occupazione coloniale.
L’importanza del paese riguardava soprattutto la contesa geostrategica tra Russia e Gran Bretagna per il controllo politico e militare dell’Asia centrale. La Russia, infatti, non appena terminata la minaccia napoleonica riprese la sua politica espansionistica nelle steppe dell’Asia centrale (corrispondente, oggi, ai vari Uzbekistan, Tijikistan, Turkmenistan, ecc.) e da qui, come obiettivi ultimi, l’altopiano del Tibet e dell’Himalaya (di grande importanza strategica come “punto centrale” tra il decadente impero cinese e l’India britannica), e l’agognato sbocco sull’Oceano Indiano.
L’Afghanistan era quindi il primo passo verso quest’ultima direzione, mentre il successivo sarebbe stato il Belucistan (nell’odierno Pakistan).
L’Afghanistan, ed altri territori dell’Asia centrale, divennero quindi per tutto il corso del XIX sec. e, a ben guardare anche del XX, teatro di un gigantesco scontro di spie e intrighi diplomatico-militari che prese il nome di “Grande Gioco“.
Spie inglesi o di origine indigena percorsero questi luoghi per cartografarli e valutarne i punti strategici; il celebre romanzo “Kim” di Rudyard Kipling, si svolge appunto in quest’atmosfera di intrighi esotici. Alle spie si affiancarono spedizione militari da parte di entrambe le parti in gioco.
Furono però gli inglesi che tentarono maggiormente, in via preventiva nei confronti dell’avversario russo, la linea dura con delle vere e proprie operazioni belliche su larga scala.
La prima di queste operazioni (la Prima Guerra Afghana), preparata dalla Compagnia delle Indie a supporto di uno dei vari signorotti locali che mirava ad impadronirsi del trono del khanato afghano (unito per la prima volta nel 1746, sotto l’Impero Durrani), ebbe come risultato solo quello di inimicarsi la popolazione, con un costo molto alto di soldati. Riuscì infatti ad arrivare a Kabul (capitale del khanato), sconfiggendo il Khan Mohammad Dost, ma l’occupazione si rivelò difficoltosa con il nuovo governo fantoccio che necessitava delle truppe britanniche per mantenere il potere (sempre la solita storia).
La protezione britannica al nuovo khan sembrò, agli occhi della popolazione, diventare occupazione permanente quando i familiari dei soldati vennero invitati a raggiungere le truppe occupanti.
Questo sfociò in una rivolta delle tribù (sopratutto Pashtun) capeggiate da Akbar Khan (figlio di Dost).
I britannici si risolsero allora per il ritiro del contingente (5000 soldati, per la maggior parte indiani, e 10.000 civili). Durante la marcia invernale, in mezzo alla neve dei passi di montagna, la colonna venne ripetutamente attaccata dai numericamente soverchianti guerrieri pashtun e massacrati.
Una nuova spedizione entrò a Kabul riuscendo a liberare alcuni prigionieri britannici e a distruggere la cittadella e il bazar, per poi ritirarsi nuovamente tra il risentimento della popolazione e delle tribù che per un po’ sembrarono dimenticare gli abituali dissidi.
I decenni seguenti, oltre a scontri con la Persia, videro la progressiva espansione verso sud dei russi, fino alla nuova invasione britannica nel 1878.
Il regime del nuovo khan, l’emiro Sher Alì, sembrava non potere o volere tenere più l’equidistanza tra i due minacciosi vicini; gli inglesi, allora, invasero l’Afghanista attraverso il Khyber Pass con 40.000 uomini. Sher Alì chiese inutilmente l’aiuto dello zar, il quale, evidentemente, giudicò troppo pericoloso uno scontro diretto con gli inglesi.
Con gran parte del paese occupato, il successore di Sher Alì, Yaqub Khan, firmò un trattato con gli inglesi che, pur riconoscendo l’indipendenza formale dell’Afghanistan, di fatto faceva rientrare pienamente il paese nella sfera di influenza britannica con una sorta di protettorato, mentre alcune zone di frontiera passarono direttamente alla corona britannica.
Tutto questo, però a costo di gravi perdite tra le truppe britanniche.
Seguirono i soliti scontri di potere tra il trono e i signori della guerra tribali, che richiesero un secondo intervento militare britannico per rimettere sul trono Yaqub, mentre gli scontri con i ribelli non cessarono, con il solito stillicidio di perdite tra le truppe, fino a che non venne posto sul trono Abdur Rahman Khan, un uomo ben accetto sia ai britannici, che ai russi e alla popolazione locale.
Durante il suo regno avvenne il già citato incidente dell’oasi di Panjdeh, a cui seguì una più precisa definizione dei confini dell’Afghanistan con la Russia e, in particolar modo, con l’India britannica: la cosiddetta Linea Durand, che passava in mezzo ai territori pashtun.
Nei successivi vent’annni di governo semi-autonomo (limitato dagli inglesi soprattutto in politica estera) Rahman Kahan cercò di consolidare e centrlalizzare il potere, soprattutto nei confronti delle problematiche tribù pashtun, e tentò anche di modernizzare il paese, come sempre osteggiato, anche militarmente, dalle varie tribù.
A Rahman Khan successe Habidullah Khan, in modo pacifico, a testimonianza del conseguimento dei risultati desiderati dal Rahman.
Durante il regno del nuovo Khan, il “Grande Gioco” tra Russia e Gran Bretagna arrivò ad una conclusione con un trattato che sanciva le rispettive sfere di influenza, assegnando l’Afghanistan all’Inghilterra.
Questa, in cambio dell’astensione russa ad interessarsi alla regione, si impegnava a non annettere l’Afghanistan né a intromettersi nei suoi affari interni.
Habidullah venne assassinato nel 1919, senza aver indicato un successore. In seguito ad una breve lotta armata per il potere, questo passò al terzo figlio Amanullah.
La situazione politica cambiò drasticamente.
In seguito alle mutate condizioni diplomatiche (nel 1917 l’intesa tra Russia e Regno Unito era decaduto in seguito alla rivoluzione sovietica), la politica nei confronti dell’Inghilterra subì un brusco capovolgimento, in questo già da tempo sollecitata dal crescente nazionalismo ispirato, tra gli altri, da un influente e colto uomo religioso, Mahumod Tarzi, cugino del re.
Habidullah Khan proclamò la totale indipendenza e l’esercito afghano attaccò le truppe britanniche sul confine, fattivamente aiutate dai guerrieri tribali pashtun posti al di qua e al di là del confine.
Gli Afghani ebbero inizialmente ampio successo, ma una volta superato lo shock iniziale i britannici reagirono energicamente usando anche l’aviazione e ristabilendo l’equilibrio.
Preoccupati anche dall’instabile situazione politica in India, gli inglesi vollero arrivare presto ad una conclusione e costrinsero gli afgani, a firmare un armistizio, ambiguo nei termini, secondo cui, pur restando il paese nella sfera d’influenza britannica, portò, in pratica, ad una piena indipendenza, tanto che nel 1919 l’Afghanistan stabilì relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica ed in seguito con la maggior parte degli altri paesi.
Per chiudere, credo si possa dire che le guerre Anglo – Afghane e tutto il relativo periodo storico, hanno pienamente anticipato quelle stesse questioni geopolitiche che sono oggi drammaticamente attuali. L’Afghanistan è infatti il potenziale sbocco verso il Pakistan e l’Oceano Indiano del progettato oleodotto che dovrebbe trasportate il petrolio e il gas naturale dagli stati ex-sovietici dell’Asia centrale. E ancora, anche non considerando il petrolio, l’Afghanistan rappresenta ancora oggi un “puntocentrale” di grande importanza geostrategica, situandosi vicino alle Repubbliche asiatiche ex-sovietiche, alla Cina (Tibet) e ad altre regioni teatro di potenziale instabilità : India-Pakistan (il conteso Kashmir, in particolare), e l’Iran. Certo, nel nuovo “Grande Gioco” il ruolo della Gran Bretagna è stao in larga parte preso dagli Stati Uniti, mentre la CIna gioca un ruolo di gran lunga più importante che nel XIX sec., ma la sostanzia non cambia molto.
Anche il cruciale “terzo incomodo” protagonista del gioco, ovvero il fondamentalismo islamico, a ben vedere si inserisce perfettamente nella stessa linea di continuità con il passato ottocentesco. Oggi come allora, infatti, la vita politica (ma anche quella sociale e religiosa) dell’Afghanistan ha visto il contrasto, anche armato, tra la tendenza accentratrice e spesso riformatrice del governo centrale, e la complessa realtà tribale, gelosa della sua autonomia e ostinatamente tradizionalista.
E’ da questo mondo tribale che sono sorti via via i vari “signori della guerra“, solo recentemente coalizzati sotto la bandiera talebana.
A ben vedere, inoltre, rimane costante anche la problematica coesistenza etnica e, tanto nell’800 come oggi, i maggiori problemi alla stabilità e alla modernizzazione del Paese vengono dall’etnia Pasthun (chiamati Pakthun o Pakhta, dagli inglesi del periodo coloniale). Durante l’invasione sovietica questi vi si opposero fortemente, così come Uzbekhi e Tagiki al nord (anche se furono quest’ultimi, specie i tagiki del gen. Masood, nella valle del Panjshir, ad ottenere i successi più importanti).
Alla momento del ritiro dei sovietici lo scontro, anche su base etnica, tra l'”Alleanza del Nord” e Pashtun portò alla vittoria di questi ultimi e al regime talebano, che a ben vedere era una emanazione delle più retrive tendenze socio-religiose dell’etnia Pashtun, in buona parte dovute all’intramontabile tradizionalismo tribale, religioso e politico.